Solcavo a passo impetuoso l’immenso oceano d’asfalto che ancora mi separava da casa;pungente,l’aria mi accarezzava il viso,accompagnata da piccole gocciole di cielo. Fredda sera d’inverno.
Assai stanche le mie membra,si arrovellava tuttavia furiosamente la mente;dir non saprei cosa tanto affannosamente inseguisse. Forse i soliti arcani pensieri d’ uomo.
Buio intorno,spezzato lievemente da alcuni rari e soli sgangherati lampioni che,a veloci falcate,mi lasciavo alle spalle in buona compagnia: porticati,colonne,macchine,cancellate. E persone. Poche di quest’ ultime in realtà.
D’un tratto la mia attenzione fu attirata da una singolare figura,e in special modo dal suo passo irregolarmente ritmico. O se volete ritmicamente incerto. Uomo,donna. O che altro. L’avvicinavo e restavo ammaliato dal suo incedere misterioso;buia figura nel mondo ancor più nero. L’ accostai dall’ altro lato della via,senza rallentare il passo. Il buio,il freddo,la fame. Non avevo tempo per lei.
Continuai per il mio preciso vagabondaggio,risoluto nel non perdere tempo dietro altre assurde fantasticherie,lasciandomi nuovamente distrarre però da un vecchio cane. Stanco,affamato,ancor più vagabondo,si fermò ai piedi d’ un muricciolo per espletare il primario istinto di marcare il suo territorio,riempiendo l’ aria di un immondo fetor di piscio.
Povera bestia,fors’ ella non aveva neppure luogo dove tornare,ed era certo più disperata. Avrei voluto in qualche modo portarla con me,ed in effetti ne serbo ancora un compassionevole e tenero ricordo.
Non saprei dire quanto ancora camminai,prima del più straordinario dei miei incontri. Benché la strada mi sia conosciuta totalmente ed in modo noiosamente sempr’uguale,non saprei nemmeno immaginare dove fossi quando la vidi.
Era ai bordi della strada accucciata. Minuta presenza di infinita grazia la figuravo davanti ai miei occhi solamente grazie ad un piccolo lume che danzava davanti a lei,disegnandone confusamente un incerto profilo in quel freddo buio invernale.
E senza nemmeno pensarci, mi riproposi di raggiungerla. Quel fioco lume calamitava inspiegabilmente il mio passo in sua direzione ondeggiando freneticamente davanti ai miei occhi. Impedendomi di prendere altra via.
Strani scherzi della stanchezza!ancor non mi capacito di come diavolo sia stato possibile ma mi sembrò di camminare dei minuti senza riuscire ad avvicinarmi a lei d’ un sol passo .La sua fissa lontananza mi snervava;eppure ero risoluto a non desistere.
E mi accorsi che in realtà non mi ero mosso per nulla,che ero rimasto lì,fermo per tutto quel tempo cercando solamente di rappresentarmi quell’ atto d’ incontro ormai tanto fatidico quanto imminente. Quanto banale. Bloccato tuttavia da un’ inesplicabile sensazione d’ impotenza.
Ma d’ un tratto, così come inspiegabilmente mi bloccai, tanto inaspettatamente presi a muovermi;fisicamente questa volta.
Era un passo nuovo questo: lento,circospetto,ansioso eppur preoccupato,fiacco ma agitato,limitato accompagnato, desolato,irritato programmato,svogliato,fischiettato e convogliato,mal calibrato. Ero pur sempre io in fin dei conti.
E questo mio muovermi ebbe effetti insospettabili;ad ogni mio passo,carico d’ ogni mio colore,il lume sembrava contorcersi d’ immani torture. La sua carica vitale sembrava spegnersi al mio approssimarsi e con esso svaporava sempre più effimera colei che accompagnava.
Affrettai il passo nel timore che soffocasse prima del mio arrivo; e proprio quando fui sì vicino da poterla vedere in viso,quel flebile chiarore svanì. Non da solo purtroppo,poiché anche colei che vagamente illuminava non era più presente.
E allora me ne andai, smarrito,con la sola consapevolezza di averla persa, un’ altra volta, per sempre.
Facetorpello
Sansatanas
gennaio 18, 2009
Il continuo tentativo di sfuggire alla noia ci rende, inesorabilmente, noiosi…
sporconiglio
gennaio 17, 2009
l’inverno scivola nella primavera, la mattina dell’anno.
trakl
gennaio 15, 2009
Una sera d’inverno
Quando la neve cade alla finestra,
A lungo risuona la campana della sera,
Per molti la tavola è pronta
E la casa è tutta in ordine.
Alcuni nel loro errare
Giungono alla porta per oscuri sentieri.
Aureo fiorisce l’albero delle grazie
Dalla fresca linfa della terra.
Silenzioso entra il viandante;
il dolore ha pietrificato la soglia.
Là risplende in pura luce
Sopra la tavola pane e vino.
I due ultimi versi della seconda strofa e la terza strofa suonano nella prima stesura:
La sua ferita piena di grazie.
Lenisce la dolce forza dell’amore.
Oh, nuda sofferenza dell’uomo!
Colui che, muto, ha lottato con gli angeli,
Domato dal sacro dolore, tende silenziosamente la mano
Verso il pane e il vino del Signore.
seguono 13 pagine di analisi della poesia, io mi limito a sottolineare il ricorrere del topos che avevo trovato anche nelle confessioni di De Quincey. Per chi suona la campana, Davanti alla legge? Ma anche e soprattutto Pane e Vino, che non c’entra con marcellino.
http://fanclubsbriciolina.blog.lastampa.it
marzo 28, 2008
complimenti
follelfo
gennaio 4, 2008
ottusi gli altri e ti che te tachete i tac,muti come muri eretti, come strapiombi irti e dritti e ignoti e dietro vetrate sventrate dal vento…una freccia nel cielo per farlo respirare, una freccia nel vento per farlo sanguinare…la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek
inviti superflui
novembre 24, 2007
Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote.
schermascher
novembre 18, 2007
“Oh” m’ apostrofò: “di’ Tutto!”
“niente, non c’è niente,
niente filippiche, niente storie, niente “te l’avevo detto!”, niente “no grazie”, niente scuse”.
Negli occhi dei cani ci puoi leggere di tutto pensavo io, il cane, mentre lui monologava.
Forse una funzionalità interrotta lo depistava dai binari pensieri, forse mediante una capacità sostitutiva vedeva nei miei occhi quello che non gli riusciva di credere di vedere coi suoi, quasi fossero un’anfora da cui attingere un: “chuck norris non lancia la palla, lancia il cane” e sempre quella nuova sete che gli bisognava per sopportare il solito tran-tran. In pratica sto tipo ha fatto i soldi scrivendo quello che vedeva nei miei occhi.
Mi sentivo una prostituta, usato come distributore di stillati di felicità solubile.
L’unica cosa che poteva in realtà esserci nei miei esterefatti occhi era stupore, non mi capacitavo a credere che non se lo inventava, quelle cose erano vere ed erano pur da qualche parte o in me, o in lui nello scolapasta che teneva appositamente in equilibrio sulla cima del capo per contenerle -precipitati raffinati- protette dall’ umida muffa, o magari perlopiù rarefatto e sospeso tra lo stupore e lo sguardo ingordo di lui.
Che se le inventasse o meno per me stava diventando un problema, quel pazzo recitava tutto quello che i suoi occhi dicevano di vedere,mi raccontava per ore quello che poteva scorgere giù in fondo dentro le pupille e dietro le orecchie che stropicciava.
Mi sentivo svuotare come un pozzo di petrolio in fiamme, era come se intere schiere di caloriferi venissero tamburellati e io dovessi vibrare con loro e dentro avvolto nel suono.
La cosa prese un brutto andazzo quando iniziò a rivolgersi a me come ad una persona vera e propria e a voler strusciare il suo muso sul mio provocandomi serie di serissime crisi d’identità e crasi di ruoli, io non ero nemmeno ominideo e lui credeva che fossi omosessuale??
Quando distrutto dallo strazio, ché la situazione mi stava infetta consumando, scelsi di smettere di pensare come un cane e fu allora che lui smise di vedere e pretese che imparassi a parlare dal nulla.
Stavamo appunto proprio nel mentre nel bel mezzo di una lezione sull apostrofo quando s’intrufolò una piccola incomprensione. Spazientito pretendeva che, prima che avessi imparato a parlare, confessassi i miei turbamenti per tornare a leggere le assurdità a cui era assuefatto.
orpello_faceto
novembre 17, 2007
Trova per forza di cose un’ingenua,volubile vitalità,che si travasa di momento in momento tra scomodi anfratti,ricoperti di scivolosissima melma verdognolomarrone. Come da un turbine gradatamente rallentato,tanto da poterlo padroneggiare con mano sapiente,come farebbe un qualsiasi capo-stregone dell’africa nera,gran conoscitore di catastrofi ambientali di portata essenziale,si astrae distrattamente un minuscolo sprazzo imprudente d’ardore a sfidare con fiera fronte l’ iniquo giudizio postogli innanzi.
Non certa condanna più preme al suo prode cantore,stremato sì tanto da invana ricerca da non più temer qualunque pozione. Dinnanzi alla fine con petto sicuro,saluta lontano un sole mai sorto.
follelfo
ottobre 26, 2007
sisi tranqui una specie
sprocione
ottobre 26, 2007
ma tu hai visto la madonna?
Anonimo
ottobre 15, 2007
comprenisbile il vuoto
ogni lasciata illusione è persa
ma ogni volta è ancora per sempre